Il mal d’Africa? No, grazie! Per non soffrirne e per amore ho deciso di restare qui, in Kenya.

Mal d’Africa. Quante volte ne abbiamo sentito parlare. Ma cosa significa realmente?
Wikipedia lo descrive così:
Nel linguaggio comune, mal d’Africa si riferisce alla sensazione di nostalgia di chi ha visitato l’Africa e desidera tornarci.

Altri lo descrivono come una vera e propria malattia da cui, però, non si vorrebbe mai guarire.
La cosa certa è che finché non vivi l’Africa di persona il vero e proprio significato non lo saprai mai.
Ce lo racconta Laura, che tornata da un viaggio è rimasta affetta da questa famosa “sindrome” che l’ha portata a trasferirsi dall’altra parte del mondo, in Kenya.
Quella prima esperienza che ti cambia la vita
Un viaggio di volontariato organizzato dal Don, con i ragazzi dell’oratorio, ha dato via al tutto, circa 9 anni fa.
“Nel mese di agosto ho deciso di partire” racconta Laura. “Eravamo un gruppo di 40 persone, più o meno coetanei e dello stesso paese. L’associazione di volontariato a cui eravamo legati, aiutava e sosteneva un villaggio in Kenya che ospitava ragazzi di strada. Passavamo del tempo con i bambini, con cui facevamo delle attività e, poi, contribuivamo alla costruzione e al rinnovo delle strutture di questo villaggio.”

Il volontariato in Africa. Immersi per un periodo in una cultura completamente diversa dalla nostra e che spesso, purtroppo, si trova in condizioni disagiate. Un’esperienza forte che aiuta a crescere interiormente e acquisire una nuova coscienza sul mondo che ci circonda.
Ma al ritorno, poi, cosa succede?
Si fanno sentire i primi sintomi di “Mal d’Africa“. Così è successo alla nostra Laura, che una volta tornata alla solita vita, il suo pensiero ricorrente era quello di tornare in quel Paese che tanto le era rimasto nel cuore.
“Ho iniziato e concluso l’università, infermieristica. Poi tramite l’associazione, con cui ero andata in Africa la prima volta, contattai un ospedale missionario, a Meru in Kenya, e mi misi d’accordo per svolgere un periodo di volontariato.”
Era arrivato il momento di ripartire.
“Ho lasciato un lavoro che non mi gratificava e son partita. Avevo questo “biglietto aperto” della validità di un anno, quindi in base a come andava avrei poi deciso quando tornare, anche perché questa volta, a differenza della precedente, ero da sola.”
Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi.
Roberto Benigni

“All’inizio non è stato facile. A partire dalla lingua. Sapevo un po’ di inglese ma a livello scolastico, quindi sul lavoro avevo qualche difficoltà anche perché, oltre a quello, usavano molto la loro lingua locale, lo swalili, e un loro dialetto. A volte non capivo nulla. Non era facile. Anche il lavoro non lo era, la situazione era diversa rispetto alla nostra. Vorresti sempre far di più ma non si può e poi, essendo volontaria, non puoi esporti più di tanto.”
Poi ci si rende conto di aver iniziato un nuovo cammino…
“Piano piano ho cominciato a conoscere di più la situazione, l’ambiente, le persone e la lingua. Ogni tanto capitava che qualche altro italiano veniva a far volontariato per qualche mese e aiutava un po’ nei momenti di nostalgia. Fatto sta che alla fine ho fatto l’intero anno che avevo a disposizione e lì, in ospedale, mentre faceva praticantato dopo aver finito gli studi, ho conosciuto quello che sarebbe diventato poi il mio futuro marito, Tom.”
Nel frattempo però, finito l’anno, dovettero entrambi tornare a casa, ognuno nella propria.
Una volta rientrata in Italia il Mal d’Africa era peggiorato. “La prima volta avevo visto l’Africa un po’ “dietro un vetro”, l’ultima volta, invece, l’avevo proprio vissuta. Mi mancava Tom. Mi mancava tutto.
Qui in Italia avevo ripreso la solita vita. Avevo ripreso a lavorare, ma senza entusiasmo. Tutto era più difficile.”
Un biglietto di solo andata

Apri gli occhi, guardati dentro. Sei soddisfatto della vita che stai vivendo?
“Quando ho deciso di ripartire era perché non ero soddisfatta della mia vita e non mi sentivo più a casa in Italia.
L’anno in Kenya non era stato facile, ho provato tantissime emozioni ma… mai un sentimento di insoddisfazione.”
Se non ci piace dove stiamo possiamo spostarci, non siamo alberi.

“Dopo circa un anno, quindi, ho deciso di ripartire per l’Africa, ma questa volta per restare. Ho fatto un biglietto di sola andata e sono tornata nello stesso ospedale con un permesso per volontari (della durata di due anni circa). Ormai mi sentivo a casa. Hanno degli appartamenti per noi proprio dietro l’ospedale, quindi ero sempre vicinissima.
Continuavo a sentire Tom che nel frattempo era stato in mille posti diversi, da Nairobi a zone di montagne per poi ritornare a Nairobi. Quando potevo andavo a trovarlo e stavo un po’ da lui, però abitavamo sempre lontani.”
Poi, due anni fa, il grande passo, si sono sposati. Continuando però, purtroppo, a star divisi di abitazione.
“Una volta sposati abbiamo fatto i documenti per permettermi di restare in Kenya in modo definitivo. Questi fogli mi davano la possibilità di rimanere nel Paese in quanto moglie di un Kenyano, però toglievano molto altro, per esempio, l’indipendenza.
Per ottenere un permesso di lavoro come infermiera (per due anni) mi servirebbe il salario di due anni. Non guadagnerei nulla. Sarebbe una perdita.
Quindi ad agosto di quell’anno ho deciso di lasciare l’ospedale e di andare a vivere vicino Nairobi, con mio marito.
E’ stato difficile lasciare il mio lavoro. Mi piaceva e mi dava tante soddisfazioni. Non è stato facile ma nello stesso tempo non potevo né rimanere volontaria a vita, né stare distante da mio Tom.”

La vita è piena di opportunità, bisogna solo saperle cogliere.
“La cosa negativa, inizialmente, è stata appunto questa. In realtà poi, pian piano, mi ha avvicinato a cose che magari non avrei mai fatto.
Mi sono appassionata alla fotografia e alla scrittura, che mi ha portata poi a scrivere articoli assieme ad un gruppo di ragazze all’estero. E infine, ho ritirato fuori anche la passione per la danza, che avevo studiato per parecchi anni in Italia.
Insomma, mi sono ritrovata a fare cose interessanti che impegnano le mie giornate senza allontanarmi da Tom.”
E adesso?
“Quando sono stata via il primo anno, i miei genitori inizialmente erano preoccupati. Mi chiamavano in continuazione per sapere come stavo. Successivamente sono venuti in Kenya a trovarmi e si sono resi conti che la situazione era tranquilla, le persone gentili e soprattutto che ero felice. Quindi si sono calmati.
Sono venuti diverse volte da allora. Anzi, una volta in pensione, hanno l’idea di farsi sei mesi in Kenya e sei in Italia. Ormai si sono abituati e mi vedono felice.
Poi è venuta anche mia nonna, 88 anni, ha affrontato questo viaggio solo per potermi vedere e si è fatta anche dei bellissimi safari!”
Le cose negative?
“Non so quanto tempo impiegherò ad adattarmi a questa cosa. Qui i bianchi o comunque gli occidentali, sono visti come ricchi e quando vado in giro con mio marito è un po’ una lotta, lo scambiano per il mio autista o per la guida, dicendogli di convincermi a comprare qualcosa che poi gli daranno la percentuale. A volte ci ridiamo sopra, a volte invece, è stancante.
Il costo della vita è differente rispetto l’Italia ma, purtroppo, non potendo lavorare, è tutto sulle spalle di mio marito.
Spesso, quindi, pensiamo che il futuro non sarà facile per noi.
So solo una cosa però… che se tornassi indietro farei mille volte la stessa scelta, sposare Tom e rimanere qui.”

“Penso di essere fatta per stare in Kenya. Voglio stare qui, punto.”
Poi Laura mi lascia così.
“Ah, un’altra cosa! La Nutella mi manca molto, però cerco di passarci sopra.”
Quindi, se un giorno riuscirò a farle visita in Kenya, mi porterò dietro un bel carico di Nutella!
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